Sebbene sia morto nel 1990, per molti versi Keith Haring è ancora vivo. La sua arte è ovunque, è diventata parte del costume pop che ci circonda anche per la facile riconoscibilità della sua opera: solo all’apparenza semplice, allegra, ottimista.
La sua arte era rivolta verso l'esterno, nasceva come forma di informazione, pronta per avviare una conversazione, mettere in discussione l'autorità e le convenzioni, rappresentare gli oppressi e i dimenticati.
Negli anni '80, Keith Haring parlava di questioni socialmente importanti come l’apartheid, l’AIDS e l’ambientalismo e di come il capitalismo aumenta per forza di cose la disuguaglianza: tutto questo tramite un linguaggio molto accessibile.
I graffiti secondo Haring
I graffiti, nati come strumento artistico molti decenni fa, hanno trovato in Keith Haring un interprete particolare. Un grande interprete, senza ombra di dubbio, perché guidato dal desiderio di portare il suo messaggio di fraternità e di amore al pubblico più ampio e variegato e che non ha mai usato la bomboletta spray in tutto il suo lavoro.
Il suo lavoro è senza tempo, ma è radicato nel suo tempo. Gli anni '80 reaganiani hanno portato giovani artisti ad essere nella condizione di dover reagire, scuotendo l'establishment artistico. All'improvviso emerse un nuovo dream team post-Warhol che includeva Haring, Scharf e Jean-Michel Basquiat: tutti realizzavano lavori che facevano riferimento a ciò che li circondava, dal clubbing, al rap, alla televisione portatrice di cultura alta e bassa.
L’idea di Haring è che l'arte è per tutti, un’idea che è molto più di un un semplice slogan, ed ecco quindi, una produzione la sua che trabocca: grafiche, manifesti, tappeti, copertine di dischi, t-shirt, cercando di ricoprire qualsiasi superficie disponibile.
“La mia speranza è che un giorno i ragazzi che passano il loro tempo per strada si abituino ad essere circondati dall'arte e che possano sentirsi a loro agio se vanno in un Museo ".
Tuttomondo
“Sto seduto sul balcone a guardare la cima della Torre Pendente. È davvero molto bello qui. Se c’è un paradiso, spero che assomigli a questo”.
L’avventura pisana di Haring nasce da un fortuito incontro tra l'artista e un giovane studente italiano, Piergiorgio Castellani, avvenuto a New York nel 1987.
Castellani, con fare scherzoso, chiese ad Haring quando avrebbe creato qualcosa di grande e fruibile per tutti in Italia, dove l’artista aveva già lavorato ma solo all’interno di gallerie.
Nel giro di poco, quello che doveva essere solo una battuta, fu la scintilla che innescò la realizzazione di Tuttomondo, il murale di Haring a Pisa per l’Italia.
Fu un'opera corale: il giovane Castellani portò Haring a Pisa, il Convento dei Frati Servi di Maria, dietro alla chiesa di Sant’Antonio Abate, in accordo con l’amministrazione comunale, mise a disposizione il muro necessario di 180 mt: anche l’Università partecipò attraverso diversi studenti che aiutarono l'artista come assistenti.
Il 20 giugno 1989 viene inaugurato Tuttomondo: Il tema dell'opera è la pace e l'armonia nel mondo e questo viene espresso dalle trenta figure colorate così caratteristiche, interconnesse e divise. Tuttomondo testimonia al mondo la passione di Haring per la vita: un inno alla gioia che ancora oggi è considerato il suo testamento artistico.
“Si sentiva protetto da questa grande tradizione e dalla sincerità di chi lo aveva accolto a braccia aperte” – confida ancora Piergiorgio Castellani – “addirittura senza chiedergli di presentare un bozzetto preliminare del murale che avrebbe realizzato in un centro storico protetto da vincoli burocratici. Lui che veniva anche arrestato per le sue performance pubbliche, a Pisa è stato accolto nel cuore della tradizione cattolica che tanto ha dato alla storia dell’arte, una piccola città sede di una delle più antiche università europee, fiduciosa che quell’opera avrebbe reso la realtà un luogo migliore in cui vivere e arricchirsi culturalmente.“
fonti immagini: art tribune, artevitae, living corriere