Il Rapporto annuale sui distretti industriali di Intesa Sanpaolo, pubblicato nei giorni scorsi, scatta la fotografia di un’Italia che viaggia sostanzialmente a due velocità, afflitta dalla contraddizione tra un’economia a bassa produttività da una parte ed un tessuto produttivo ancora molto vitale dall’altra, soprattutto per quel che riguarda i distretti territoriali manifatturieri.
Nel Rapporto annuale, giunto alla sua undicesima edizione, il centro studi della prima banca italiana ha preso in considerazione quasi 20.000 imprese in tutto il Paese, appartenenti a 156 distretti manifatturieri diversi, confrontandole con circa 62.000 imprese non distrettuali.
Il Report di Intesa Sanpaolo sottolinea come le Pmi organizzate in filiere di prossimità siano decisive per il surplus commerciale, con un rialzo del 7,7% nel biennio 2017-2018 ed un fatturato in crescita dal 2008 ad oggi, di 5 punti percentuali superiore alle aree non distrettuali. Una spinta che in termini di produttività vale un +9,5% per le aziende distrettuali nel periodo compreso tra il 2008 e il 2017, contro il +2% del manifatturiero non distrettuale.
Nella classifica delle 20 migliori eccellenze distrettuali italiane stilata da Intesa San Paolo compaiono anche le manifatture territoriali toscane. A vincere con 85 punti su 100 (criteri basati su variazione percentuale di fatturato ed export rispetto agli anni scorsi, oltre che sulla variazione del margine EBITDA – un indicatore di profittabilità delle azioni) è il distretto della gomma del bergamasco, mentre al secondo posto si attesta il distretto della pelletteria e delle calzature di Firenze. Completa il podio il distretto dei dolci di Alba e Cuneo, mentre l’agroalimentare dei vini fiorentini e senesi vale il settimo posto.
La vittoria delle filiere di prossimità: i vantaggi competitivi della localizzazione
Durante la presentazione del Rapporto, lo Chef Economist di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, ha spiegato che negli ultimi anni abbiamo assistito all’emergere di un capitalismo di territorio, o capitalismo di filiera, caratterizzato da una costellazione di piccole e piccolissime imprese che interagiscono tra di loro, riuscendo ad ottenere ottimi risultati, soprattutto per quel che riguarda l’export.
Il riunirsi risulta dunque un fattore di vantaggio competitivo, in quanto all’interno dei distretti si trovano tutti gli elementi che permettono di innovare e di accrescere la qualità dei prodotti in maniera sostenibile. Nella filiera di prossimità i fornitori risultano più vicini ai committenti di quanto non accada in realtà imprenditoriali non distrettuali, con un raggio chilometrico che si riduce da 118 a 100 km. Nei distretti orafi, tra i quali spicca quello aretino, il raggio territoriale si riduce a 56 km, a dimostrazione dell’importanza rivestita dal legame con il territorio.
Per la Toscana, terra di eccellenze territoriali radicate nella storia, i segnali inviati dal Rapporto Annuale di Intesa Sanpaolo sono più che positivi. Si tratta di un ulteriore segnale che indica il successo di una filiera territoriale riconosciuta e riconoscibile, valore che giova alla competitività e al fatturato, e continuerà ad essere un vantaggio anche nel prossimo futuro.
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